Calimero e la pantera nera

Un racconto di Loretta Emiri.

            Lo stipendio da elettricista comunale del padre non bastava per mandare avanti la famiglia. Sarta da uomo, la mamma contribuiva a rimpolpare le entrate, sovente passando in bianco le nottate. Abitualmente Cosetta era spedita dalla nonna, con cui stava volentieri; però, il fatto che a restare a casa fosse sempre e solo il fratello venne da lei interiorizzato come  predilezione dei genitori per il  figlio maschio. La nonna la incitava a non avere altro dio all’infuori di lei, a restarle aggrappata alla gonna, a non fidarsi di nessuno, a non desiderare la compagnia di coetanei.  Cosetta crebbe timida, introversa, sentendosi esclusa e diversa, identificandosi con un pulcino piccolo e nero: fu così che per lei andò profilandosi un’esistenza da viversi tutta lottando contro l’ingiustizia. Dell’asilo nido ha ancora nelle orecchie il rumore prodotto dalle ciotole di alluminio; negli occhi lavandini e tazze del gabinetto a misura di bambino; nel ricordo il fastidio che sentiva quando, pur non avendo sonno, era costretta a mettersi a letto per il pisolino pomeridiano. Dell’asilo d’infanzia ricorda le grida e i richiami dei compagni quando potevano scorrazzare in terrazzo, e lei in un angolo tacendo e osservando. Di solito era la nonna che l’aspettava all’uscita, ma Cosetta era felice quando ad attenderla c’era una giovane zia molto svampita.

            Con l’avvicinarsi del primo giorno di scuola, prese ad agitarsi. Arrivò in classe piena di paura, che però non le impedì di sedersi in un banco in prima fila. L’evidenza della relazione esistente fra suono e simbolo grafico la folgorò in quel banco in prima fila, nei primi giorni della Prima Elementare: fu in quel momento che iniziò la passione di Cosetta per la scrittura. Quando percepì che era in grado di superare prove e impegni vari, l’andare a scuola cessò di crearle agitazione e si trasformò in piacere. L’occupazione del banco in prima fila durò poco; proprio come fa mamma chiocciola con i pulcini che non siano neri, vicino alla cattedra la signora maestra riunì le sue cocche: la figlia dei nobili decadenti cui pagava l’affitto di casa, la nipote di un’amica e collega, la figlia di un industriale.  

            Ogni anno delle Elementari lo trascorse in aule differenti, con la stessa maestra, in classi esclusivamente femminili. Pochi i ricordi da Cosetta conservati, ma determinanti ai fini della formazione della sua personalità. Durante una lezione di Economia Domestica raccolse e restituì un ago caduto alla maestra che, invece di ringraziarla e suscitando l’ilarità della scolaresca, la derise per essersi preoccupata di recuperare oggetto di così poco valore. Parole e risate si conficcarono nella carne di Cosetta facendole molto male. Alle lezioni di Musica, maschi e femmine partecipavano insieme. Il maestro sottopose gli alunni a provini. Estromessa dal coro, Cosetta interiorizzò la parola “stonata” come fosse sinonimo di “esclusa”. Nell’angolo in cui era relegata durante le prove di canto, un giorno finì un’alunna giunta ad anno scolastico iniziato. Graziosa, infiocchettata, vanitosa, ricca, venuta dal nord, da subito aveva snobbato tutti. La bambina infilò un dito in bocca a Cosetta; poi, suscitando l’ilarità del gruppo, prese ad annusarsi il dito e a fare smorfie di disgusto. A simulare espressioni schifate avrebbe dovuto essere Cosetta, eventualmente, che si era ritrovata in bocca il dito di quella stronzetta, ma non riuscì a far altro che arrossire di vergogna e sentirsi a disagio. Solo da vecchia avrebbe riso dell’episodio, vedendolo citato in un romanzo. All’epoca era obbligatorio indossare il grembiule, indumento che non impedisce ai bambini, che possono anche essere molto piccoli ma non stupidi, di accorgersi delle disparità sociali. Cosetta andava a scuola con un cappotto ricavato da uno vecchio, rigirato e rimodellato per lei dalla mamma. A colazione, le cocche della maestra esibivano panini molto imbottiti usciti da bottega o fragranti paste comprate al bar, facendo venire l’acquolina in bocca a chi mangiava fette di pane e avanzi della cena. Quando la Benedetti era chiamata alla lavagna, a Cosetta si stringeva il cuore: aveva l’impressione che i buchi, prodotti dagli alluci nelle scarpe di pezza della bambina, a ogni passo divenissero più grandi. Prima di completare le Elementari, Cosetta aveva identificato tre categorie sociali: i ricchi, i poveri, quelli come lei. 

            Per le scelte esistenziali che avrebbe fatto da adulta, determinante è un altro episodio riconducibile alla Prima Elementare. Un missionario proiettò un documentario: un’intrigata vegetazione fungeva da tavolozza a macchie di colore; una pantera nera avanzava sinuosa e così possente da far Cosetta raggelare; apparvero bambini dell’età che aveva allora, il cui sguardo, ora che è vecchia, ancora la perfora. Altri mondi, altri modi di vivere e sentire, altri valori, altrui necessità toccarono profondamente la sua immaginazione: fu in quel momento che in lei attecchì il desiderio di prodigarsi un giorno nel “terzo mondo”. Essendo il 1954, quasi certamente il filmato era in bianco e nero, ma nella mente di Cosetta è archiviato a colori: prodigi del genere avvengono perché la memoria, come la letteratura, è una finzione verosimile; e anche  perché con la trasformazione del desiderio in realtà l’esistenza prende  colore. 

            Cartolibreria, era la definizione per quella stanzetta che conteneva il mondo. Situata lungo il percorso che conduceva alla Scuola Elementare, Cosetta non si limitava a sbirciarvi dentro mentre passava; vi entrava spesso per controllare se c’erano nuovi arrivi e per sniffare l’odore caratteristico del luogo. Fragranza di carta su cui scrivere, profumo di inchiostri che trattengono parole, esalazioni fuoriuscite da ambienti descritti in pagine stampate: mescolati, gli ingredienti producevano quello che per Cosetta era l’odore stesso del sogno di diventare scrittrice. Lo inspirava a fondo, trattenendolo nei polmoni finché suggestioni interiori non la stordivano. In quel negozio i genitori compravano i libri che gradiva ricevere in occasione del passaggio della Befana.  La lettura di Piccole donnePiccole donne crescono, I ragazzi di Jo, se non ha suscitato la sua passione per la scrittura, certamente l’ha alimentata; infatti, in Jo, la scrittrice, si immedesimava.  Pur non essendo degli intellettuali, la mamma e il papà la presero talmente sul serio che, in occasione del suo ultimo compleanno da alunna delle Elementari, si indebitarono per regalarle una Olivetti Lettera 22. La macchina da scrivere portatile sarebbe stata, per Cosetta, il dono più prezioso ricevuto nell’arco di tutta la vita. 

            Lunghe camminate portavano la bambina in visita alla famiglia della nonna. Era un percorso impegnativo affrontato con entusiasmo anche se, arrivando in prossimità di un ponte, la paura la raggelava. Senza prenderla per mano, la nonna la esortava a non guardare tra le fessure, e addirittura buche della pavimentazione, sotto cui si vedeva il fiume.  Le ripeteva che doveva guardare oltre e procedere spedita, perché è così che gli ostacoli vanno superati. Ogni traversata era un supplizio per Cosetta, ma il raggiungimento dell’altra sponda aveva il sapore della vittoria. Dalla conquistata postazione si concedeva una breve sosta per osservare l’ipnotico scorrere del fiume e la rigogliosa vegetazione delle rive. Nelle adiacenze del ponte c’era un passaggio a livello. Lo sferragliare del treno era musica esotica evocante luoghi da scoprire. Delle visite a una cugina della nonna conserva la fragranza di maritozzi fatti in casa e la piacevolezza di momenti trascorsi tra le fronde di un albero attrezzato per la siesta dei bambini. Se invece andavano a trovare il fratello della nonna, Cosetta si appollaiava sulla palizzata del recinto dei cavalli, oppure sedeva sul cucuzzolo di un monticello da cui osservava campi coltivati puntigliati d’alberi e siepi. In bocca ha ancora il sapore dei frutti del gelso bianco e delle more dei rovi.  

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